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SACCOCCIO SMASCHERA LE FAKE NEWS SU FRA’ DIAVOLO

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Ancora la fertile vena compositiva dello storico, ricercatore e divulgatore culturale Alfredo Saccoccio ha prodotto una nuova opera che porta lo storico itrano a marcare, quasi mensilmente, la scaletta produttiva in campo librario dopo che, settimanalmente la sua firma onora e qualifica le pagine di periodici e quotidiani vari. E questa volta il 77enne studioso aurunco è intervenuto per smascherare una madornale fake news che trova origine nel lontano 1801.

Nel libro, curato dalle edizioni Confronto, “Le imprese e gli amori di Fra’ Diavolo generale dell’esercito del Cardinale Ruffo (tradotto dal francese)” il Saccoccio rivisita l’opera “Les exploits et les amours del Frère Diable Général de l’armée du Cardinal Ruffo”, pubblicata a Parigi, nel 1801, a firma di Bartolomeo Nardini, esponente di una ricca famiglia di Vico Equense e inequivocabilmente animato da spirito filofrancese,  evidenziando tutte le “corbellerie e gli errori materiali (fino a far nascere Michele Pezza in Calabria) in cui dice che fra’ Antonio Gargiulo (e non il Pezza) era invulnerabile poiché le pallottole scivolavano su di lui. Alla fine, il frate vede terminare i suoi giorni a Napoli, su una forca, per essere stato un perturbatore nella città di Paola, dove pianta, in mezzo alla pubblica piazza, un giovane pioppo e si mette, da fervido repubblicano, a intonare un inno alla libertà. Comincia l’insurrezione, ma le truppe realiste e i governatori fanno il loro dovere, calmando gli slanci patriottici dei paesani. Si prende il perturbatore e lo si conduce a morte. Fra’ Diavolo muore, sì, su un patibolo, ma, in realtà, impiccato per la causa borbonica e non per quella napoleonica (come invece racconta il Nardini, n.d.r.). E’ una falsificazione del Nardini l’aver fatto suonare a Fra’ Diavolo la campana a martello contro i realisti (seguaci dei Borbone, n.d.r.) e i devoti  e fatto risuonare le parole “libertà” e “uguaglianza” invece di “viva il re e viva la fede”. L’incisione del frontespizio sul legno –prosegue ancora Saccoccio nella sua prefazione al libro-, uscito dalle mani di un umile quanto ignoto autore, raffigura Fra’ Diavolo in abito da frate, con lunga barba, il cappuccio in testa, armato di carabina, di pistola, di pugnale, di sciabola e di accetta , sintetizza, per l’appunto, la popolare credenza,  che fa di lui un truce bandito, così come il librettista dell’opera musicata dall’Auber ce lo volle ingiustamente rappresentare.

Nel romanzo, Fra’ Diavolo è fatto cavaliere e, come abbiamo già accennato, calabrese.  Le sue azioni si svolgono presso Catanzaro. Il libro è inventato di sana pianta….” E così fino al termine delle due pagine introduttive che introducono alla lettura di un’opera di denuncia storica che mostra come la pubblicazione del Nardini, per il librario parigino Ouvrier, non sia che uno dei tanti esempi di falsificazione della verità storica che non trova solo su Fra’ Diavolo l’unica vittima del mercenario lavoro di quanti hanno travisato fatti e situazioni che la Storia ha visto svolgersi in maniera completamente opposta o diversa.

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