GRAVE DISSESTO IDROGEOLOGICO

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Le piogge di questi giorni stanno portando, ancora una volta, allo scoperto il grave dissesto idrogeologico in cui versa la nostra nazione. Il suolo, come abbiamo già affermato in passato, è in larga parte completamente abbandonato a seguito del riversarsi di grandi masse di popolazioni verso i centri abitanti e la progressiva riduzione della presenza dell’uomo nelle campagne e nelle zone di montagna.

Occorre che la politica capisca in tempi rapidi che imporre dei forti divieti alle attività dell’uomo nelle zone inurbane è fatto sicuramente nocivo per il territorio destinato ad un ulteriore spopolamento in assenza d’interventi che favoriscano e incrementino la presenza di attività umane (non edilizie) al di fuori dei centri urbani specie in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo in cui la terra può essere una preziosissima risorsa anche per il rilancio economico del paese.

In questo contesto occorre che gli enti pubblici si facciano carico del delicato e importantissimo compito del “governo delle acque”, attività tra le più basilari cui l’autorità in un paese moderno ha l’obbligo di provvedere (Nel Lazio il 98,4% dei comuni presenta fattori di rischio idrogeologico!) ed un maggiore controllo in particolare nel campo edilizio.

Con l’abbondante personale pubblico impiegato in enti intermedi, parchi naturali e organismi di tutela e forze di vigilanza non si vede come sia possibile che il territorio riceva così scarsa cura da parte delle pubbliche amministrazioni con il ripresentarsi costante e in forme sempre più evidenti e finanche mortali delle conseguenze di queste imperdonabili carenze e mancato controllo in particolare nel settore edilizio. Certamente pesa la scarsità dei finanziamenti pubblici destinati a questo tipo di attività specie da parte delle Regioni e allo stesso modo pesa anche l’incapacità di destinare a tali lavori la mano d’opera necessaria.

Dove possibile potrebbe essere vantaggioso, sia per loro che per la collettività, impiegare anche i detenuti ristretti” nei luoghi di detenzione che, con le dovute tutele e garanzie, ben potrebbero essere occupati in questo tipo di interventi di pubblica utilità oltre ad impiegare cittadini idonei che usufruiscono del reddito di cittadinanza.

Giovanni Meschino

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