ITRI: GRANDE SCOPERTA STORICA

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UNA STORIA ENCOMIABILMENTE SCOPERTA E AMPIAMENTE DOCUMENTATA DAL RICERCATORE DANIELE ELPIDIO IADICICCO

GHIOTTO FRUTTO DI UNA CERTOSINA RICERCA STORICA: DUE BRIGANTI UCCISI A ITRI NEL 1863. VERITA’ E DEPISTAGGI

Siamo agli albori dell’Italia unita. A febbraio del 1863 un fatto scuote Itri. Vengono uccisi sue “briganti” locali. I fatti e le varie testimonianze che seguono fanno si che questo avvenimento, di per sé abbastanza comune per il tempo, divenisse motivo per una certa tensione in città.

Questa storia, venuta fuori direttamente dai registri della prefettura dell’epoca, custoditi ed ormai desegretati e consultabili presso l’archivio di stato di Caserta, ci consegnano oltre che una storia assolutamente inedita, anche uno spaccato cittadino dell’epoca e quanto il passaggio da antico a nuovo regime sia stato complesso.

La “Commissione provinciale per la repressione del brigantaggio” riceve una istanza per attribuire una gratificazione ad Angelantonio De Simone e Francesco Tatta fu Giovanni per l’uccisione di due Briganti. I soldati operanti a Itri e pure itrani di nascita avevano condotto una operazione da “infiltrati” evidentemente finita male che portò all’uccisione dei due “fuorilegge”. Il premio richiesto per loro dal Sottoprefetto di Formia è di lire 900, da spartire in due.

Questa storia della ricompensa è fondamentale per questo racconto per due motivi. Il primo perché i molti documenti ritrovati a tal riguardo, e la concessione finale di questa ricompensa non lasciano dubbi sugli autori di queste uccisioni, che presto come vedremo verranno messe in dubbio e ritrattate dalle stesse autorità. La seconda è che per far liquidare questa somma il sottoprefetto racconta molti e molti particolare e retroscena sui fatti che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti.

Nel primo sollecito il sottoprefetto sottolinea come i due soldati dovettero dopo i fatti lasciare la cittadina, dunque quella ricompensa era necessaria loro per vivere e che si era addirittura permesso per agevolarli di anticipargli 50 lire.  La prima motivazione fornita fu molto generica. Lasciarono Itri per non cadere in qualche agguato di vendetta. Presto la storia si fa però ben più complessa. Fatto certo è che a seguito di questa vicenda si organizza una squadriglia “anti brigantaggio” nella zona per contrastare meglio e con più forza il fenomeno. Il sottoprefetto dà questo suggerimento al Prefetto che lo accetta di buon grado.

Ed ecco i fatti, così come raccontati dal sottoprefetto.  Il primo tentativo di catturare i briganti era stato fatto il 16 febbraio quando il De Simone partì avendo saputo che i briganti si trovavano nella mandria di Domenicantonio Pellecchia.  Il giorno seguente, 17 febbraio 1863, la banda assiepata tra Itri e Sperlonga fu affrontata dai due soldati delle Guardie nazionali di Itri, tali  Tatta e De Simone. Il capo brigante era un tale Giuseppe Schiappa di Itri di anni 48 che rimase ucciso assieme al meno pericoloso Luca Forte della vicina Formia (già Mola di Gaeta). Il gruppo di trovava nel casale di Giuseppe Lepizzano (oggi Lepizzera) in zona Casale Vallefredda.

Riguardo ai due Briganti oggi occorre tristemente registrare che, anche se non conosciamo affatto i delitti di cui eventualmente si macchiarono, la storia non registrò nulla circa la loro fine. Nè al Comune di Itri, nè negli archivi parrocchiali è stato possibile reperire l’atto della loro morte. Probabilmente qualcosa possiamo dirla circa il brigante Luca Forte, pure nominato in qualche rapporto come “Giovanni”. Molto probabilmente questi aveva ancora un altro nome di battesimo. Si tratta quasi certamente di Erasmo Forte. Nacque a Mola il 9 di luglio del 1842 da Silvestro e Luigia Costa e morì su quelle valli itrane a soli 22 anni.

Torniamo ai fatti. Nel tenimento la banda doveva tenere viveri ed armi. Vengono decritti nei rapporti di polizia anche le scorte. Si parla di carne di maiale fornita la stessa mattina dal macellaio di Itri, Francesco Penna. Nel covo trovati anche un fucile senza piastrina, un fucile a una sola canna, una pistola militare.

L’incontro tra le forze armate e il brigante Schiappa doveva servire per riuscire a trattare in qualche modo la loro resa. Qualcosa, come detto, va però storta. I militari  dichiararono di sentirsi minacciati dalla piega presa del colloquio e decisero di freddare i malfattori.

In altri racconti si parla dei militari che arrivati a un certo punto della conversazione vogliono lasciare il casale ma impediti dallo Schiappa fanno fuoco e lo freddano assieme al Forte. Assieme a loro altri “briganti” scampati alle sparatorie: Bevilacqua Pasquale di anni 28 di Roccaguglielma e Onofrio Gionta fu Francesco di anni 23 di Formia.

Il delegato alla sicurezza spiega al Prefetto che molti al municipio furono afflitti dall’uccisione dello Schiappa. Il motivo dell’allontanamento dei due militari era dunque dovuto alla protesta che in città andava crescendo. Potevano realmente i cittadini condannare l’uccisione a freddo di due loro concittadini per mano di un altro itrano? Evidentemente no. Per giustificare questo comportamento agli occhi del prefetto ecco che scatta il dipinto macchiettistico. La protesta per l’uccisione dello Schiappa era quindi da attribuire al fatto che …il comune era ancora frequentato da molti borbonici. Lo Schiappa, si dice nella relazione, riusciva a farla franca perché molti dei suoi cugini lavoravano proprio al municipio coprendolo nei movimenti. Addirittura si arriva a tirare in ballo anche Fra’ Diavolo. Evidentemente per forzare la mano, il sottoprefetto asserisce che nella lunga parentela dello Schiappa ci sono anche i discendenti di Fra’ Diavolo. Ovviamente tutto è possibile in un paese piccolo come Itri ma a 60 anni dalla morte del Colonnello Pezza sembra un modo solo per rafforzare il racconto del covo “borbonico”. La relazione si conclude su questo punto in maniera poco lusinghiera per gli itrani. Si dice che questi (i cittadini di Itri) non capiscano la fine che ha fatto Fra’ Diavolo ma badano solo a quante ricchezze titoli e onorificenze abbia acquisito al ritorno dei Borbone. Pensando si possa verificare la stessa cosa, tutti proteggevano e fiancheggiavano lo Schiappa. Propone infatti il sottoprefetto di indagare punire e reprimere tante persone che “avviliscono” i pochi liberali che sono in città.

Gli itrani non potevano dunque essere solo insoddisfatti di tali uccisioni, senza processo nè difesa ma dovevano solo essere per forza retrogradi, interessati a future ricompense, dunque borbonici. Che a Itri montasse sempre più il malcontento ne è la prova i fatti che di li a poco di verificarono.

Il 19 di Febbraio c’è un rapporto interno della caserma alla quale i militari appartenevano. I fatti raccontanti clamorosamente cambiano di colpo. I militari prima resi eroi per le uccisioni escono di scena. Il comandante di Itri, tale Brigadiere Rabbi, entra in questo racconto pur non essendo menzionato in nessun altro atto nè resoconto. I briganti secondo alcune confidenze dovevano trovarsi nel casale del contadino Rughetti Mattia a Montecristo. Il comandante va in perlustrazione con i suoi militari, Bianchi e Busatti, assieme a sei militari e un caporale dei Granatieri. Con la truppa ci sono anche i loro confidenti.  Furono secondo questa ricostruzione il brigadiere e il carabiniere Bianchi a sparare a Schiappa e Forte. Dunque cognomi diversi dei protagonisti e degli esecutori. Tutti nomi accuratamente non itrani prendono il posto dei due iniziali Tatta e De Simone.

A sorpresa il 22 di febbraio il comandante di Divisione viene avvertito che la versione è un’altra. Non sarebbero stati i militari a esplodere i colpi ed ammazzare i briganti ma un collaboratore e confidente delle forze armate. Fu lui ad aver esploso due colpi e ammazzato Schiappa e Forte. Una squadra di militari, accompagnati dal confidente, che ad un certo punto decide di chiudere da solo la storia.

Il tutto è  clamoroso, oltre al fatto che è la terza versione fornita, anche perché del confidente non si dichiara neanche il nome. Fatto davvero strano trattandosi di atti interni di polizia dell’epoca.

Tutti questi tentativi di cambiare versione ai fatti furono evidentemente montati per salvare i due militari itrani e le loro famiglie. La prova ne è il fatto che, come detto, la commissione militare alla fine riconosce a Tatta e De Simone il premio all’inizio richiesto, anche se lo dimezza rispetto alla richiesta. Nel maggio dello stesso anno De Simone incassò un altro premio per aver catturato il brigante Felice Paparella della banda Chiavone.

Piccole storie che riaffiorano nel tempo per ricostruire e conoscere meglio i fatti ed il contesto reale in cui maturò la nostra unità nazionale. Un contesto molto molto più complesso della più comoda favola degli acclamati eroi che avrebbero liberato il sud. Una storia che andrebbe raccontata senza paura per raggiungere la pienezza di quell’unità mai davvero realizzata a pieno.

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