L’acqua è un bene comune, ma per Acqualatina è oro
Nel 2011 il popolo italiano ha parlato chiaro: con un referendum storico, la maggioranza degli elettori ha sancito che l’acqua deve restare un bene pubblico, sottraendola a logiche di mercato e alla privatizzazione. La volontà popolare era inequivocabile: basta profitti sulla gestione dell’acqua, basta “remunerazione del capitale investito” da parte di soggetti privati.
Eppure, a distanza di oltre dieci anni, ben poco è cambiato. In gran parte del Paese — e anche nel nostro territorio — la gestione dell’acqua resta in mano a società miste, dove la componente privata continua a perseguire legittimamente il proprio profitto. I risultati sono evidenti sulle bollette: il principio della remunerazione del capitale, che il referendum voleva eliminare, continua a pesare sulle tasche dei cittadini.
Il caso di Itri è emblematico. Il servizio idrico è affidato ad Acqualatina, che preleva l’acqua da Fondi, città situata praticamente al livello del mare, e la spinge fino a Itri, che si trova a un’altitudine media di 165 metri. Questo comporta un aggravio di costi per l’energia necessaria al pompaggio e alla manutenzione degli impianti. E questi costi finiscono dritti in bolletta, insieme a quelli già legati alla remunerazione degli investimenti.
Eppure, esiste un’alternativa concreta. Secondo esperti del settore, sotto Itri scorrono abbondanti risorse idriche sotterranee: una ricchezza naturale che potrebbe garantire al nostro paese un approvvigionamento idrico quasi a costo zero, al netto dell’investimento iniziale per captazione e distribuzione. Non solo: grazie alla conformazione del territorio, potremmo persino fornire acqua “per caduta” ai comuni limitrofi, con benefici economici e ambientali enormi.
La domanda è semplice: perché restare legati a un gestore come Acqualatina, se non ne traiamo alcun vantaggio in termini di qualità, efficienza o costi? L’acqua “nostrana”, oltre a essere più buona e controllabile, sarebbe certamente più economica per i cittadini di Itri.
A ciò si aggiunge il problema, cronico, della torbidità dell’acqua. Ogni anno, in media per 50-60 giorni, dalle nostre case esce acqua non potabile, spesso torbida, a causa dei frequenti guasti e delle continue riparazioni di una rete idrica obsoleta. In queste condizioni, la fornitura non solo non è garantita, ma viene comunque fatturata regolarmente.
È ora di chiedere con forza un cambio di passo. Sollecitiamo la Conferenza dei Sindaci ad adottare atti concreti per stabilire un equo indennizzo a carico di Acqualatina, da destinare alle utenze colpite dai disservizi.
L’acqua è un diritto, non una fonte di profitto. I cittadini del sud pontino non possono più accettare di pagare per un servizio che, troppo spesso, non è all’altezza delle promesse.